“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati” (Mt 5,6): non è solo un messaggio di speranza in un futuro lontano diverso e migliore, ma un invito a impegnarsi già su questa terra a favore di una società più giusta e solidale. A non darsi mai pace affinché, in ogni comunità, non ci siano più vittime di ingiustizie e discriminazioni. Perché senza giustizia, ogni sforzo per assicurare sicurezza e serenità, oltre a non garantire pace e prosperità, rischia di essere vano e controproducente. Di emarginare anziché includere. Di generare ragazzi risentiti e sfiduciati verso tutta la comunità.Come forse è successo e quotidianamente accade ai ragazzi del 15 di Rozzano.
Ragazzi non da incontrare, ma additare e condannare. Perché irresponsabili, maleducati e perfino pericolosi. Storie sbagliate. Da evitare e non incrociare. Ragazzi che, proprio perché convinto di trovare in loro più umanità che nei palcoscenici della vita – dove grigi uomini in cravatta e donne incipriate in tailleur legittimano crimini contro la comunità – e per capire e comprendere meglio le loro vite, i loro errori e soprattutto le nostre responsabilità, ho deciso di incontrare.
E così, con un misto di timore e curiosità, carico di questo intenso sentimento – dopo un inizio concitato e polemico da parte loro nei miei confronti perché cercavo di fargli una foto senza permesso – sono riuscito nella loro casa, davanti alle fermate del tram 15 di fronte al Pam, ad avere un contatto. E, con un atteggiamento di ascolto sincero, ho scoperto che le loro storie non sono sbagliate, ma solo sfortunate. Sarebbero le nostre ancora più sbagliate se solo non avessimo avuto vite più fortunate. Perché spesso dimentichiamo che quello che abbiamo è solo, non un merito nostro, ma semplicemente un dono ricevuto gratuitamente e da condividere. Per questo, chi ha, più è chiamato a dare.
Come ha fatto Taré, ragazzo tunisino di 22 anni, condividendo il suo viaggio che, da Susa su imbarcazioni di fortuna e, dopo essere approdato in Sicilia, su mezzi di fortuna e a piedi, l’ha portato a raggiungere suo papà a Rozzano. Dove ancora, dopo quattro anni, non è ancora riconosciuto ufficialmente, e, per andare avanti, ripiega spesso, non per colpa sua, su lavori in nero. E, senza un documento ufficiale, sperimenta perfino la difficolta di inviare soldi alla propria mamma rimasta in Tunisia.

Ma Taré, se sfiduciato verso le istituzioni per un’assenza di protezione e d’integrazione, è riuscito a trovare nei ragazzi del 15 degli amici che, nonostante tanti sbagli e cadute, sono stati nei suoi confronti accoglienti e inclusivi. Ragazzi cristiani e musulmani che, rispetto a tanti ben pensanti, sono anche un esempio virtuoso di amicizia tra diversità religiose. Ragazzi dalle storie invisibili ma piene di significato, come quella di una ragazza croata, sempre all’interno del gruppo, che aveva, ma alla fine per timore ha deciso di fermarsi dal raccontare, mille e passa motivi per essere arrabbiata con il mondo.
Tanta frustrazione e risentimento sociale che generano illegalità e disagio per tutta la comunità. Problema da affrontare, in parallelo ad una risposta di ordine pubblico, umana ed equilibrata, con quanto espresso dall’articolo 3 della nostra costituzione: ovvero tramite la rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono a ogni persona – anche a quelli che arrivano da fuori perché possono e devono dare un contributo importante al nostro sviluppo – di fiorire e realizzare pienamente la propria personalità. Rigenerando così, non rabbia e frustrazione, ma gratitudine e riconoscenza. I primi germogli per arrivare ai frutti della partecipazione e della corresponsabilità civile.
E poi saremo tutti Beati.